La spiritualità laicale nell'impegno politico

Cosa significa parlare di spiritualità laicale nell'impegno politico? Significa chiedersi come si vive "nello Spirito", come si vive "in compagnia di Gesù" e testimoniando la fede in Gesù, facendo politica.
E' chiaro cioè che non si tratta di parlare della spiritualità come di qualcosa che va "coniugata" con la politica come se la spiritualità fossero le preghiere, i sacramenti e gli esercizi spirituali rispetto a cui essere coerenti facendo politica... No! E' proprio facendo politica in un certo modo, cioè come atto di carità, come amore per Dio e per il prossimo, che si vive la comunione con Cristo attraverso lo Spirito.
Infatti, se "Dio è amore" e "Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio è in lui" (1Gv.4,16) e se la politica è "il campo della più vasta carità"(Pio XI discorso alla FUCI 1927) cioè la politica è uno dei modi attraverso il quale si ama il prossimo, allora fare politica è un modo per vivere la spiritualità laicale. L'esperienza politica vissuta come atto di carità mi consente di vivere la comunione con Dio.
In pratica che cosa può, significare?
1.     Vivere la politica nello Spirito implica certamente una vita comunitaria e sacramentale, implica incontrare il Signore nella preghiera,  nei fratelli e sorelle nella fede e attraverso i segni sacramentali. E qui c'è già un primo problema perché chi fa politica intensamente, spesso aggiungendo questo impegno alla vita familiare e professionale rischia di allentare i legami comunitari e di vivere frettolosamente la vita ecclesiale. Magari si va a celebrazioni liturgiche perché si deve rappresentare un ente che si governa ma non perché si ha a cuore il legame con la propria comunità. Oppure accade che la comunità ecclesiale tenda a mettere tra parentesi l' impegno politico dei suoi membri che resta implicito, non detto. Non è sempre facile che una persona impegnata in politica sia effettivamente riconosciuta e magari valorizzata come tale nella comunità ecclesiale. (Se un missionario torna dall'Africa dopo anni di impegno sarà certamente chiamato dalla sua comunità parrocchiale a condividere l'esperienza. Un politico non viene chiamato con la stessa naturalezza...) Questo accade soprattutto da quando "è scoppiato" il pluralismo politico dei cattolici (che io considero un fatto molto positivo). Quando io ero giovane e c'era ancora la DC si facevano nelle parrocchie gli incontri con i politici democristiani della parrocchia o della diocesi.  Oggi invece se chiamano me hanno paura di irritare il parrocchiano di un altro partito e allora, invece di chiamare tutti e due e impostare una sana e bella discussione, non si chiama nessuno e si fa finta di niente. Nella comunità cristiana l' accettazione e la gestione del pluralismo politico - e dei conflitti che ovviamente comporta - è ancora un enorme problema. Il fatto di avere la stessa fede dovrebbe facilitare il confronto tra differenti posizioni politiche invece di fatto è il contrario. (Es. Alle Settimane Sociali alcune Diocesi hanno mandato intellettuali, preti, operatori sociali...nessun politico!).
2.     Vivere la politica nello Spirito implica in secondo luogo assumere lo stile della laicità che tende a non confondere il contenuto della fede (Gesù è il Dio che si è fatto uomo! E' lui la nostra salvezza!) con i contenuti delle proposte politiche che io credente faccio, le quali sono sempre limitate, discutibili, parziali, motivate razionalmente, negoziabili (per questo il pluralismo politico dei credenti è indispensabile!).. E' chiaro che l'arte della politica richiede un quadro di valori condivisi e questi noi li abbiamo nelle dichiarazioni dei diritti umani, nella Costituzione. Se ciò che ci spinge a fare politica è una chiamata di Dio ad amare una comunità e a metterci al suo servizio e quindi è una esperienza religiosa, le nostre proposte si rifanno a principi da tutti riconosciuti indipendentemente dalle fedi religiose, e la cui applicazione richiede razionalità, gradualità, mediazione, disponibilità a riforme... Richiede capacità di stare nel merito delle questioni. Oggi purtroppo il dibattito in Italia sulla laicità è molto superficiele fuorviante: sul versante "laicista" laicità vorrebbe dire divinizzare la libertà di scelta ("Tu fai quello che vuoi e non puoi permetterti di impedirmi di fare quello che voglio") oppure vorrebbe dire essere contro la Gerarchia ecclesiastica su determinati temi (e solo su quelli!) pena essere considerati persone che non ragionano con la propria testa, che ubbidiscono alla Gerarchia quindi non sono laiche... Anche all'interno della Chiesa il dibattito è un po' viziato da principi molto chiari almeno dal Concilio in poi (distinzione tra ambito religioso e ambito politico, tra Chiesa e Stato, tra ruolo della gerarchia e ruolo del laicato...) e prassi gerarchica assai contraddittoria se non altro perché i nostri Pastori cadono spesso nella tentazione di sostituirsi al ruolo dei laici nelle concrete questioni politiche e legislative.
3.     Vivere la politica nello spirito implica vivere le Beatitudini innanzitutto perchè facendo politica noi cristiani non cerchiamo solo di fare cose giuste ma di vivere e testimoniare, fare emergere dalla storia la beatitudine del Regno. In altre parole, fare politica vivendo le Beatitudini non significa solo sforzarsi dei essere miti misericordiosi ecc. perché è giusto e virtuoso ma significa testimoniare la gioia per la presenza del Regno e contribuire alla sua piena realizzazione. Fare politica è un atto di fiducia nel Regno di Dio: il Regno di Dio non è solo qualcosa che sta dopo, ma è qualcosa che sta anche ora. Sta qui la beatitudine. Ed è questa beatitudine per il dono ricevuto, per la presenza di Cristo attraverso lo spirito che mi rende povera in spirito, mite...ecc.  Anche in politica! Non bisogna cioè scordarsi la seconda parte delle Beatitudini che ci fa capire lo spessore spirituale del nostro fare politica. Ma vediamo la prima.

Beati i poveri in spirito: cioè i liberi dagli obiettivi personali, i "non attaccati" al potere (che chi fa politica deve ricercare, ovviamente) come ricchezza personale da accumulare, come qualcosa che diventa indispensabile, da cui non ci si può separare (e a volte tanto più il potere è poco tanto più è difficile separarsene!)  Una delle grandi tragedie della politica è quando le persone non sono più libere di adoperarsi per il bene comune perché hanno degli obiettivi personali, vogliono essere o restare qualcuno. Essere poveri in spirito in fondo significa essere liberi di perseguire il bene comune anche se questo può costare qualcosa in termini di carriera, di posti di responsabilità, di assessorati o spazi sui giornali… E' essere liberi, dopo un certo tempo di impegno in prima linea,  di metterti da parte e aiutare altri a entrare in politica perché la tua ricchezza non sta nel ruolo che ricopri e quindi te ne puoi distaccare liberamente servendo la comunità in altri modi.
Beati gli afflitti: l'afflizione di chi fa politica credendo in Gesù è l'afflizione per un mondo in cui la giustizia è tragicamente offuscata, il Regno di Dio allontanato, calpestato; un cristiano che fa politica è uno che soffre molto perché sa vedere dove si annida la menzogna e l'ingiustizia, perché sente su di sé la sofferenza dei poveri e  degli sfruttati e dal profondo si oppone, e si mette all'opera per migliorare le cose. Difficile operare per la giustizia se non si soffre con coloro che subiscono le ingiustizie.
Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia: fame e sete indicano un bisogno fondamentale, primario. Della giustizia noi cristiani che facciamo politica dobbiamo avere desiderio e bisogno come del pane e dell'acqua, li dobbiamo cercare a tutti costi, facciamo politica proprio per questo! Pensiamo oggi al dibattito sulla crisi economica, sul rapporto tra economia e finanza, sulla tentazione di fare pagare alle persone comuni le operazioni spericolate e spregiudicate di pochi... che grande sofferenza, che grande fame di giustizia per i credenti e che grande spazio per chi, tra di loro, ha responsabilità politiche ed economiche...!  Se a muoverci nella nostra attività politica è l'afflizione per l'ingiustizia e la fame di giustizia ( e non la fame di successo, la ricerca di gratificazioni) non possiamo che sentirci in forte comunione con Gesù che ha subito l'ingiustizia umana e ha lottato per la giustizia.
Beati i puri di cuore: collego la purezza del cuore alla trasparenza, alla non ambiguità, sia nel proprio parlare e comportarsi sia nel considerare l'altro. Essere puri di cuore può significare cercare e dire la verità. Dire la verità per chi fa politica è un grandissimo problema perché si è in qualche modo obbligati a dire che gli avversari hanno torto, sbagliano e questo entro certi limiti ci sta perché aspetti criticabili ci sono sempre in qualunque scelta e perché comunque se sei di un gruppo politico diverso hai idee diverse. Però questo si può fare in modo fazioso o in modo onesto. Si può fare puntando sulla menzogna oppure si può fare evidenziando le contraddizioni, le oscurità che certamente si annidano in ogni scelta. Io credo sia possibile fare politica dicendo la verità. Così come credo che si possa fare politica evitando le troppe "dietrologie", la tendenza a vedere complotti ovunque, specialmente all'interno nel proprio partito dove le relazioni tra le persone e i sottogruppi sono molto complicati e richiederebbero davvero un supplemento di purezza del cuore.
La purezza del cuore implica anche la coerenza tra i fini e i mezzi. In politica i mezzi sono quasi più importanti dei fini perché la distinzione tra i vari gruppi politici è normalmente sui mezzi, non sui fini. E quindi per esempio: come posso dire di impegnarmi per una società democratica se accetto di militare in un partito che democratico non è?
Beati i misericordiosi e i miti: metto insieme queste due beatitudini perché mi sembrano le facce della stessa medaglia: collego la misericordia alla capacità di vedere in tutte le persone qualcuno che è amato da Dio e quindi merita il nostro amore e il nostro perdono, merita comunque di non essere umiliato. La mitezza evoca  la capacità di non nutrire odio, di non coltivare il desiderio di vendetta o di imporsi sugli altri. La persona mite rifiuta le dicotomie  amico-nemico e vincitore-vinto così frequenti in politica. Noi siamo abituati a dire, per esempio, che chi perde le elezioni è uno sconfitto, un nemico battuto, ma in realtà non è così: è uno che non ha ricevuto la maggioranza dei consensi, quindi non governa, ma ricopre una funzione essenziale in una democrazia, quella del controllo sull'operato della maggioranza. E i cristiani che sono nelle maggioranze devono essere i primi a rispettare questo ruolo. Secondo Norberto Bobbio chi fa politica non può essere mite... ma la mitezza è una virtù dei forti ed è la forza che ci vuole in politica non l'aggressività.  Quindi la mitezza E' una virtù politica se si intende la politica come atto di carità.
Beati gli operatori di pace: per chi fa politica è cruciale essere operatore di pace, direi che è il compito fondamentale. All'ONU, in Parlamento come in qualunque Consiglio Comunale. Dobbiamo intenderci sul significato della parola pace: essa, anche guardando il comportamento di Gesù, è innanzitutto capacità di riconoscere i conflitti, se necessario porli, e cercare di gestirli in modo nonviolento, in modo che non ci sia un confliggente che distrugge o danneggia l'altro ma in modo che entrambi possano trovare vantaggio dalla soluzione che si trova al conflitto. La pace dunque non è uno stato utopico di assenza di conflitti ma il processo di gestione nonviolenta dei conflitti. La politica è lo strumento privilegiato per gestire in modo nonviolento i conflitti sociali e quindi è campo d'azione privilegiato per i cristiani. Non solo. I luoghi del dibattito politico (es. un Consiglio Comunale, un Parlamento) possono essere luoghi di costruzione della pace proprio perché sono i luoghi in cui il conflitto viene costantemente vissuto e rappresentato senza violenza. La grande scommessa è quella di vivere fino in fondo questo conflitto in modo nonviolento, non evitarlo!  Io ho visto una grande debolezza dei politici cattolici in questo. In tutti gli schieramenti si scade frequentemente nella faziosità (che forza o distorce il pensiero dell'altro per poterlo criticare o deridere), nel processo alle intenzioni, negli insulti più o meno velati di belle parole… La nonviolenza invece si nutre della verità e anche della fiducia che l'avversario, l'oppositore ha senz'altro buone ragioni per dire quel che dice: se ci si vuole confrontare davvero, se davvero si vuole portare avanti il conflitto per far prevalere la soluzione migliore, bisogna sapere comprendere le ragioni di chi non sta nello stesso schieramento. Questo stile non prefigura una situazione di impossibile irenismo: tutt'altro, prefigura uno scontro anche duro sui problemi (non sono certo i cristiani a doversi sottrarre agli scontri) ma facendo salva la dignità delle persone e il rispetto a loro dovuto. Chi fa politica da cristiano si scontra con gli avversari politici ma li ama perché il comandamento "ama il prossimo tuo", "ama i tuoi nemici" vale anche in politica e solo amando il mio prossimo vivo la politica nello Spirito.
Beati i perseguitati per causa mia: può capitare che non si abbia occasione di parlare di Gesù alle persone con le quali si collabora nell'attività politica, ma certamente, vivere la politica nello spirito delle Beatitudini può portare, se non a persecuzione, a emarginazione, isolamento, situazioni di forte conflitto.
Vivere la politica nello Spirito richiede di essere pronti anche a questo perché magari porta più frutto una esperienza apparentemente fallimentare sul piano umano che un grande successo.


In una parola, vivere la politica nello Spirito richiede accettare l'amore che Dio ci dona, rispondere a questo amore e amare il nostro prossimo. Noi facciamo politica perché siamo stati chiamati ad amare il nostro prossimo e lo vogliamo servire. E' un compito profondamente religioso, è una vocazione che ha una "densità" religiosa non inferiore a quella di un monaco il quale incontra Dio che gli appare nella preghiera e nella contemplazione! Io che faccio politica incontro Dio nell'appello di chi resta senza lavoro, di chi è disperato perché è rimasto in lista d'attesa per l'asilo, nel Sindaco che si spende per la sua comunità lavorando giorno e notte, nell'imprenditore che denuncia coraggiosamente intrecci economici poco chiari, nell'avversario politico che combatte contro la mia proposta... è in questi volti qui, che io voglio amare e servire, che incontro il Signore. E quindi vivo la mia spiritualità.

Secondo me la rilevanza della presenza politica dei cattolici sta qui: nel modo in cui vivono la politica. Se la vivono nello spirito delle Beatitudini, se la vivono come forma di carità, sono rilevanti. Molto rilevanti. Sia perché a volte si è costretti a diventare rivoluzionari, sia perchè comunque si fa emergere il Regno di Dio che è la cosa che ci interessa davvero. La rilevanza cioè non sta certo nel compattarsi su qualche tema considerato, a mio parere erroneamente, più eticamente sensibile di un altro... Quello lì è il modo sicuro per ghettizzarsi. Sta nel vivere la politica come forma di carità.
Carla Mantelli

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