Per un lavoro più umano

La crisi economica ci propone una sfida che come cristiani non possiamo non raccogliere e offre degli spunti inediti per riformulare in modo creativo la nostra esistenza: è questo in sintesi quanto è emerso  dal laboratorio di formazione sul tema “Giovani e lavoro” tenutosi mercoledì 12 settembre  alle ore 21 presso il centro della comunità della Parrocchia di Sant’Egidio in Borroni. Sono intervenuti, con interessanti contributi, don Luigi Filippucci, direttore dell’Ufficio pastorale per i problemi sociali ed il lavoro, Paola Pompei, docente di economia aziendale, Michela Morbidoni, socio della cooperativa sociale Ariel e Fausto Fiorucci, artigiano.
L’apertura dei lavori, affidata ad Anacleto Antonini in veste di coordinatore del laboratorio, ha mostrato l’urgenza di una riflessione che, partendo dall’osservazione dei nodi cruciali della disoccupazione e della demotivazione giovanile, sappia interpretarli in chiave propositiva. Anche Don Luigi Filippucci nel saluto inziale ha sottolineato come la crisi economica costituisca uno stimolo per il mondo cattolico, che viene sollecitato  all’individuazione di nuove forme di impegno, nel segno dell’unità  e della fratellanza  e in uno spirito di gratuità, che smentisca le attuali logiche economiche.  Solo così si possono offrire ai giovani “spazi realisticamente possibili” per guardare con speranza al futuro.
Perché non si può essere buoni cristiani senza essere buoni cittadini, come ha dimostrato con ricchezza di spunti la relazione della professoressa Pompei. E’ vero, spiega la docente di economia, che il PIL nell’ultimo anno è calato del 2,6% e che la crisi economica non è terminata, ma proprio per questo è giunto il momento di guidare i giovani verso un rovesciamento delle prospettive sin qui consolidate: per troppo tempo si è avallata l’idea che qualcuno debba procurare  un lavoro a chi non ne ha, in cambio della sue capacità. In realtà è il contrario: “il posto di lavoro è un bene molto sofisticato che va creato, non esiste in natura. Più esso è stabile più è sofisticato perché è il risultato complesso di un’impresa che ha successo. Chiedere semplicemente il posto di lavoro significa affrontare la crisi in modo ingenuo: se vogliamo lavoro ci servono imprese che sappiano produrre qualcosa che il mercato si aspetta. Nessun diritto e nessuna soluzione a priori dunque, ma una sola parola d’ordine: rimboccarsi le maniche. (…) I più giovani devono essere aiutati a comprendere le loro attitudini fin nella prima infanzia, (…) la curiosità intellettuale, il lasciarsi provocare intellettualmente ed emozionalmente dalla realtà, sono virtù che si alimentano della libertà interiore che non è ne sarà mai un prodotto dell’industria ma che nasce dall’esperienza di comunione vissuta con altri e comincia certamente nel seno della famiglia. Questa ha il compito di educare le persone, è palestra di libertà e dialogo, è scuola di relazioni con l’altro.” La vera realizzazione della persona dipende dalla consapevolezza dei propri bisogni e dalla possibilità di realizzarli nel lavoro.
E’ sulla stessa linea Michela Morbidoni, della cooperativa Ariel: il suo discorso mostra con efficacia quanto i soci siano entusiasti della loro attività perché quello che anima tutti è la consapevolezza di essere parte di una grande famiglia, di camminare insieme pur nel rispetto delle priorità e delle esigenze di tutti. Ariel si occupa infatti dell’inserimento nel mondo del lavoro di ragazzi svantaggiati, che non sono economicamente importanti secondo le logiche del mercato. All’interno di un simile progetto si ricava soddisfazione dal proprio lavoro e il salario, cessando di essere il fine dell’impegno lavorativo, diventa piuttosto uno strumento per una vita più pienamente realizzata. Anche Michela Morbidoni insiste sul ruolo della famiglia, a cui spetta il compito di” animare” i propri figli, in modo che reagiscano con energia a una situazione socio-economica depressa come quella che stiamo vivendo, “una depressione”, spiega, “che porta con sé altre depressioni”. Occorre fare leva sullo spirito di impresa, che è capacità di intraprendere, creatività e disponibilità a reinvestirsi. L’esempio di Ariel è interessante: nata nel 95 dallo spirito imprenditoriale di un giovane ingegnere, la cooperativa inizialmente offriva servizi di giardinaggio per il territorio; quando la crisi ha fatto diminuire le richieste in questo settore, i soci hanno diversificato e ampliato la propria offerta di servizi, senza modificarne però lo spirito.
La stessa creatività ha ispirato Fausto Fiorucci nell’inventare il proprio lavoro. Fausto racconta la sua storia di studente  con la passione delle macchine antiche e spiega come quella che inizialmente era una distrazione dagli studi, è poi diventata, con felice intuizione, un particolarissimo lavoro da cui egli ricava soddisfazione, prima che guadagno: gestisce infatti con un socio un’officina specializzata nella riparazione di macchine d’epoca. Anche  Fiorucci invita a rovesciare le prospettive, ridando importanza agli “scarti” della società consumistica. Se gli Italiani sperano di poter continuare a comprare macchine, televisori e cellulari con i ritmi di qualche anno fa, riflettano sul fatto che i rifiuti del nostro consumismo sfrenato vengono riciclati dalla Germania, che poi ci rivende l’energia elettrica così prodotta. E pensare che noi paghiamo per sbarazzarci di quegli scarti…  La crisi secondo Fiorucci è la logica conseguenza dei tanti sprechi precedenti, ma potrebbe essere l’occasione per cercare altre strade, per cambiare i nostri stili di vita e riscoprire il fascino del lavoro manuale che trasforma gli oggetti anziché buttarli.
Dai lavori del laboratorio  è possibile in definitiva trarre un messaggio di cauto ottimismo: potremo  rialzarci  dalla depressione economica che stiamo vivendo se sapremo trasformarci e reinvestirci, tornando a considerare il lavoro come uno spazio per la costruzione e la realizzazione della persona.
Stefania Meniconi

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