Dal rapporto economico una situazione preoccupante dell’Umbria
di Elisa Manenti
Una serie di articoli a
cura dei membri della Commissione per i problemi sociali ed il lavoro,
giustizia e pace, custodia del creato, della Diocesi di Foligno ci aiuteranno a comprendere l’odierna
situazione economico-sociale in vista del convegno sul tema del lavoro promosso
dalla Diocesi di Foligno venerdì 17 marzo presso l’Azienda Umbra Group.
Dal
rapporto economico-sociale 2016-2017 effettuato dalla Agenzia Umbria Ricerche,
intitolato Umbria tra Toscana e Marche,
emerge un quadro della situazione della Regione Umbria preoccupante, ma con una
percepibile volontà comune nel far
ripartire un ciclo positivo di investimenti pubblici e privati, volti alla ripresa. Da una prima analisi delle dinamiche più recenti
dell’apparato produttivo umbro, la
manifattura resta da sempre un pilastro per la creazione di valore aggiunto
locale e un motore imprescindibile per i sistemi dell’Umbria e di tutta l’Italia
di mezzo, anche per il suo elevato potere propulsivo sui servizi, soprattutto
avanzati, generando un rapporto virtuoso che si autoalimenta; da essa originano
inoltre gran parte degli sforzi innovativi del sistema produttivo e la quasi
totalità dei beni esportabili. Certo, si dovrebbe avviare un percorso di recupero
conversione-potenziamento sviluppando un processo di trasformazione: nelle
modalità produttive (che incorporino sempre più intelligenza), nei sistemi
organizzativi (sempre più attenti alla qualità delle risorse umane), nel
capitale investito (sempre più intangibile). Ad oggi però tale processo di
trasformazione risulta essere inattuato. Il sistema produttivo umbro,
prevalentemente concentrato a metà della filiera e dunque a limitato fabbisogno
di quei servizi evoluti necessari soprattutto a monte e a valle, e il basso tasso di industrializzazione,
hanno avuto pesanti conseguenze sullo sviluppo del settore terziario avanzato
il quale non ha trovato grosse ragioni di stimolo. Con un reddito regionale trainato dalle spese del settore della
Pubblica amministrazione, l’Umbria continua ad essere caratterizzata da un
sistema di “autoreferenzialità”, strutturalmente trainato da domanda interna,
che ha inciso non poco sulle ripercussioni della crisi degli ultimi anni,
colpito dai bruschi cali di una domanda scarsamente alimentata dall’export
(considerando che per l’Italia, le esportazioni nel 2011 sono state l’unica
componente di domanda che ha contribuito positivamente ad attenuare i
contraccolpi della recessione). L’andamento
dell’export umbro, infatti, si evidenzia piuttosto indipendente da quello del
PIL, a riprova del fatto che la presenza di questa regione sui mercati esteri è
più opera degli orientamenti e dell’efficienza delle singole imprese, che
effetto di un approccio di sistema. In effetti, l’attitudine a organizzarsi
come reti di impresa o è conseguenza di una visione culturale condivisa o è
conquista a seguito di esperienze maturate sul terreno e nel tempo. Paradossalmente,
a frenare questo approccio contribuisce anche lo spiccato policentrismo umbro,
con trama ad urbanizzazione diffusa, in cui anche le principali realtà urbane
stentano a fungere da poli aggregatori, confermando la debole connotazione
distrettuale dell’economia regionale, fatta più di disorganiche aree di
specializzazione che di sistemi complessi di filiere integrate, e sembrano
semmai suggerire l’idea di un’incerta reazione alle difficoltà delle
specializzazioni tradizionali, piuttosto che di uno slancio di investimenti
nello sviluppo di nuovi settori. Anche la contrazione della spesa per
investimenti che ha interessato, sia il settore privato che quello pubblico, è
stata aggravata dal deterioramento della loro qualità, con conseguenti ricadute
sul livello di efficienza del capitale, in aggiunta alla insufficiente capacità
di riallocazione delle risorse alle imprese e ai settori più produttivi. Ad
essere bassa non è infatti la propensione ad investire ma lo è l’efficienza di
ciò che viene investito ad aver determinato il rallentamento della crescita
della produttività dell’industria umbra. Altre considerazioni dovrebbero poi
farsi sui diversi modelli di organizzazione delle attività agricole, sulle
prospettive aggiunte dalle opportunità di integrazione offerte da altri settori
(in primis il turismo) o sugli atteggiamenti nei confronti degli ambiti di
incubazione dello spirito imprenditoriale e delle capacità competitive e
insieme cooperative degli abitanti. In ogni caso, i livelli di benessere che
nel complesso hanno contraddistinto e permangono in Umbria, sono il risultato
di un equilibrio tra variabili economiche e variabili sociali e tra dotazioni
ereditate dal passato e disponibilità a valorizzarle nel presente (e per il
futuro). Snodo cruciale della recente storia economica dell’unica regione
dell’Italia centrale priva di contatti col mare è la caduta della sua
produttività del lavoro e, con essa, del prodotto per abitante, nonostante la
relativamente discreta tenuta dell’occupazione. In effetti, dopo la decisa
svolta maturata negli anni Settanta e l’impennata degli anni Ottanta il trend del
prodotto per unità di lavoro ha prima rallentato la sua velocità per poi
procedere a marcia indietro, inversione di tendenza che è stata accelerata dai
contraccolpi della crisi internazionale. Ad oggi a far ben sperare sono gli
interventi avviati dalla regione Umbria in linea con i programmi di sviluppo europei.
Oltre alla predisposizione dell’Agenda digitale umbra, affinché lo sviluppo del
digitale diventi una leva per riportare la crescita e la giustizia
nell’economia odierna, favorendo competitività e inclusione sociale, c’ è
grande speranza per il Protocollo
di intesa per la gestione dei Fondi
Europei e la partecipazione a progetti comunitari condivisa tra le regioni di Toscana, Umbria e Marche, sottoscritto a Bruxelles in data 15 giugno 2016 dai Presidenti
delle tre regioni. Lo scopo è formulare una linea comune nell’opera di
implementazione dell’assetto
strategico, territoriale, infrastrutturale, economico e sociale delle tre
regioni. Oltre all’elaborazione del Programma di Sviluppo Rurale, caratterizzato
da una concezione di sviluppo rurale nuovo, fondato sul connubio tra pratiche
agricole, ambiente, cultura e inclusione sociale; è avvenuta la predisposizione
di direttive comuni tra le tre regioni sull’indirizzazione dei Fondi Sociali
Europei, ove si è posta l’attenzione da un lato, sulle iniziative di supporto
alla fattibilità di idee imprenditoriali o rivolte ad attività autonome, con
particolare riguardo alla riduzione preventiva dei rischi di insuccesso in fase
di startup, attraverso azioni di orientamento, formazione e pre-valutazione
(prescreening), incluso il supporto al ricambio generazionale, integrati da
erogazione di incentivi anche sotto forma di microcredito, e dall’altro, sull’attivazione
di misure di politica attiva,
quali l’accompagnamento all’inserimento lavorativo, intervenendo in modo
integrato sul destinatario finale e sull’impresa, nonché attraverso forme di
incentivazione mirata delle imprese alla creazione di rapporti di lavoro
stabili. Si confida che, nel
quadro appena delineato, sia tale cooperazione territoriale fra
le regioni in diversi ambiti a dare una risposta coordinata ai problemi che
potranno essere gestiti meglio insieme che separatamente, cioè superare gli
ostacoli che rallentano lo sviluppo e sfruttare a pieno il potenziale delle regioni, pensando in modo più
strategico ed innovativo alle opportunità disponibili.
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